Tappingdiotima

Una mamma umanitaria

Sono settimane che rosico. Ne parlo con amici e colleghi. Mi agito.

“Dal 4 maggio qua si ricomincia, e c’é da rilanciare l’Italia. Qui stanno facendo “task force” di soli maschi Pamela! Dov’é la diversità? E non parlo di LGBTIQ+ parlo del 51% dell’umanità. O magari proponiamo un “compendium” alla UN-Women anche qui, così i maschi ci vedono. Da voi ?”. Chiedo alla mia amica tedesca a capo di Care International a Boon. Consapevole del vantaggio tedesco di avere una primA ministrA.

Penso alla gaffe di #congiunti…. con due donne in più sedute a Roma, o in smart-working con Roma…. sono certa non ci sarebbe stata.

“Ma Noemi sei tu la nostra gender star ! …. proponi qualcosa te, non sei in Italia ora???!!!” Risponde qualcun altro, maschio, solidale, tra i participanti alla chiacchierata serale tra amici su Zoom ; tutti professionisti nel no-profit internazionale.

“Mavalà ! Lavoro già tutto il giorno “teletrasportata” a Dakar. Non sono sufficientemente informata sull’Italia, ne’ ho alcun network con chi fa politica, né faccio parte della rete del femminismo italiano. Sono semplicemente disconnessa.”.  Anche se non é poi così vero – penso – e si passa ad altro.

Dopo meno di 48 ore …. ecco…. finalmente !

Una petizione che firmo con gioia #datecivoce.

Firmate anche voi, uomini e donne.

Leggetela é nel sito https://www.datecivoce.it/.

Lascio a altri la discussione del rimboccarsi le maniche e della differenza tra il passivo “dare” e l’attivo “prendere”. Chiedendo agli uomini al potere di dare, si prende.

L’Italia tutta ha bisogno delle contributo delle donne al progetto che il governo sta mettendo insieme. Non é solo una questione di rappresentanza ma soprattutto di competenza. Nel 2020 non é per niente difficile trovare uomini e donne con competenze eguali per cui rappresentanza sia. Sono stanca di vedere questa paura di essere femministi.

Con gli occhi dell’ONU

Non passavo più di due settimane in Italia dal settembre 2006 quando iniziò la mia avventura internazionale, prima Ginevra poi Goma, Abidjan, Bangui, Kinshasa. Parti esclusi ovviamente, ma quelli sono stati un paio di mesi di tempo parallelo. Due mesi, perché la maternità ONU rimanda al lavoro con pargoli di due mesi e mezzo. A chi interessa una maternità di durata ragionevole ? Alle donne, spesso più che agli uomini, almeno in termini di priorità. All’ONU stiamo andando verso il 50% e 50% del personale. Il Sig. Segretario Generale, Antonio Gutierrez, ci tiene al “gender equality”. Ma al 50% oggi ci siamo con il personale amministrativo e junior level a maggioranza femminile più i vice-segretario generale, nominate dall’Antonio femminista. Nel mezzo più uomini che donne. I diplomatici ONU di sesso maschile in breve sono molto più numerosi di quelli di sesso femminile.

Volete un esempio concreto? Il mio. Uno a caso.

In tre anni a Kinshasa a capo del dipartimento “genere e violenza di genere” di UNFPA ho creato il più grosso portafoglio dell’ufficio. Il capo, uomo, bravissimo, mi usava ampiamente come numero due in tutto ciò che era leadership umanitaria. Grandissimo promotore delle “mia” tematica che per UNFPA é una priorità. Nonostante ciò, il dipartimento di genere che lasciai per andarmene a Dakar troverà un’altra Noemi in leadership, più brava, visto che ho appena lasciato una bella patata calda. Avrà probabilmente più responsabilità dei suoi colleghi maschi ma uno stipendio ben più basso e molta meno riconoscenza politica, cosa legata (aimé più per rigidità che altro) al grado diplomatico.

Questa digressione per dire, che mettere in pratica una politica inclusiva delle donne in leadership non é semplice neanche per chi lo chiede con riconosciuta autorità, e di continuo, ai capi di stato e di governo. Per piacere Sig. primo ministro e governatori cari : metteteci le donne, prendete esempio dal Signor Antonio ! Non abbiate paura di essere femministi anche voi. 

Per concludere – la stampa.

Passo le mie giornate di #lockdowninItaly ma virtualmente in Africa dell’Ovest ; e all’alba o al tramonto dedico energie a informarmi. Leggo Repubblica, confesso. A volte soddisfatta. A volte no. Ho bisogno del cartaceo col caffé. Vendessero il Guardian sotto le due torri, non é certo che sarei un’assidua lettrice, o forse sì perché ho fisicamente necessità di sapere che succede intorno a me. La Repubblica di Bologna é forse la parte che più apprezzo del giornale, a livello di qualità. Repubblica, pur avendo annunciato l’iniziativa del tweet qui sotto oggi é (quasi) silenziosa. Allora cara stampa che ti dici di sinistra liberale di questo propio un po’ di più non ne vuoi parlare ? Capisco che domani c’é il “liberitutti” ma osa il femminismo pure tu. Funzionerà.

Il Pratello non ha resistito e ha R-Esitito. Il Pratello é sceso in piazza con foto su tutti i giornali. Una cerimonia di tre minuti, le polemiche dei giornali francamente inutili.

Il Pratello é un quartiere bellissimo.

250420 - 25 APRILE IN VIA DEL PRATELLO GENTE IN STRADA NONOSTANTE DIVIETO

Mi piace credere che Bologna sia una città che tiene a conservare la memoria; che tiene stretta la Costituzione. E dove il 25 aprile é unità e non divisione. Io, il mio compagno (francese) e i due nanetti di uno e quattro anni abbiamo ascoltato pezzi della diretta di Repubblica su Facebook …. cantato e ballato a squarciagola e persino stappato una bolla.

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I miei amichetti del liceo mi han scaldato il cuore con questi magnifici tricolori qui.

Io il signore che ha urlato in Strada Maggiore, proprio sotto le due torri simbolo della città “zitti comunisti di merda” non l’ho sentito. E farò di tutto perché i miei figli non lo sentiranno mai. En passant —- gli dedico questa :  Fischia il vento ! 

Ci ho messo un po’ a decidermi ma ora eccomi qui.

E con l’intenzione di scrivere assiduamente.

Questa volta l’emergenza é venuta a trovarmi a casa mia. Una casa base in cui passavo, nostalgica, per al massimo due settimane ogni sei mesi. Una base per scorpacciata di aperitivi in Piazza Santo, serate in via del Pratello, “tinconamenti” al Parco Tozzoni o al Caffé della Rocca, gite a Brisighella, Riccione o nella mia adorate Umbria e Toscana. Ma ora é casa. Punto. E ci starò per mesi grazie alle nuove tecnologie. Convivendo con le sirene delle ambulanze.

Tutti ne parlano, tutti ne straparlano di questa Global Pandemic. Vorrei ridurre questo rumore, questa cacofonia a volte. Vorrei fare non dire, qui nella mia Bologna.

Io, convinta nell’universalismo dei diritti umani, convinta che gli obiettivi di sviluppo sostenibile siano la chiave per un mondo giusto e bello. Convinta che si dovesse lavorare “là” nei paesi in via di sviluppo. Ora mi sento in gabbia… ma non perché non posso fare una passeggiata ai giardini Marghe !

Ho scelto una battaglia politica, da anni, per l’egualianza di genere, l’ho declinata in una passione e in un obiettivo preciso e circoscritto dal mio pragmatismo : eliminare la violenza contro le donne nelle crisi umanitarie. Ed eccomi da una dozzina d’anni a vivere nelle crisi dell’Africa francofona, con una carriera tecnico-diplomatica piuttosto ben avviata, alle Nazioni Unite. Il mio sogno da studentessa UniBo.

Ho iniziato da poco come responsabile per l’Africa dell’Ovest e Centrale nel Coordinamento Globale della lotta contro la violenza di genere in situazione umanitaria, “seconded” dal Consiglio Norvegese per i Rifugiati –NRC a UNFPA, l’agenzia ONU per i diritti sessuali e riproduttivi (questo ve lo spiego un’altra volta ok?) ma sono ancora sotto le due torri.

A Dakar non ci potrò andare per un po’, né in Burkina Faso, o in Mali o in Repubblica Centroafricana o in Nigeria, per citare alcuni tra i paesi prioritari che seguo. Viaggi sospesi fino a fine giugno, se non di più. Tutti i lavori che si possono fare in smart working si fanno ora da casa, tra cui ovviamente il mio – che é un lavoro di coordinamento, sulle politiche e senza portafoglio. Come una buona fetta dei miei colleghi ONU nei “regional and headquarters” e della popolazione italiana sono chiusa in casa coi bambini da seguire e tutti i pasti da preparare. E quello che faccio quotidianamente in “smart working” mi sembra lontano anni luce dalla mia realtà di oggi. La crisi é fuori dalla finestra, sotto la Garisenda e gli Asinelli, e io, abituata a essere una “first responder” mi sento profondamente inutile, pur sapendo di non esserlo affatto. 

Ecco perché da oggi rifletterò con voi su cosa vedo dalla mia finestra. E inizio da quel che conosco meglio.

La violenza di genere é un’epidemia globale. Ogni paese ha i suoi problemi, in Italia quello che mi sembra preoccupi di più sono stalking e femminicidio. Una donna é uccisa ogni 3 giorni in Italia. Vi invito a leggere questo articolo del collettivo articolo21 che fa qualche paragone con varie fonti (sappiate però che l’anno scorso i casi sono leggermente diminuiti – leggermente).

Un mese fa io e le colleghe del “Global team” abbiamo lanciato una serie di conferenze per esperti del settore per riadattare le modalità lavorative non solo a livello pratico ma anche rispetto alle dinamiche. Dai primi studi cinesi disponibili e dalle (poche) pubblicazione accademiche già uscite ci sembra palese: il rischio numero uno in termini di violenza contro le donne in questo mondo in “lockdown” dove “#iorestoacasa” é quello dell’“intimate partner violence”, la cui forma più grave monitorata in Italia é il femminicidio.

Ieri il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato tutti a mantenere la pace in casa. Ricordo tre episodi in cui vedo palese il collegamento tra convivenza forzata e femminicidio da quando siamo “confinati” in casa : una specializzanda in medicina uccisa dal fidanzato e due mamme uccise dai figli poco più che post-adolescenti.

L’Organizzazione Mondiale della Salute ha precisato che i servizi per la lotta contro la violenza di genere sono servizi essenziali che vanno mantenuti. In Emilia Romagna (e in Italia), i centri anti-violenza sono aperti, si sa. Le unità di polizia specializzate funzionano (e sono particolarmente fiera delle misure prese dal Ministero dell’Interno). Non so molto di più in materia di servizi specializzati, e ammetto mi frustri un po’ in questo momento di sentirmi così disconnessa dalla realtà intorno a me. Non so quali siano le campagne di prevenzione, non ne ho viste, eppure sono qui e sono una donna.

Bonaccini aveva in mente di raddoppiare gli investimenti per la lotta contro la violenza di genere. Vorrei sapere che ne sarà, ho letto poco al riguardo eppure il mio compagno dice che ormai sono una cosa sola con la Repubblica….

Siamo una delle regione italiane che denuncia di più, che investe di più, che lotta di più – ora le storiche mi correggano- ma i primi convegni delle case anti-violenza non sono negli anni 90 e non si tennero nella nostra riviera? Abbiamo una bellissima storia femminista, e delle super donne che seguo con passione su Twitter come Cathy La Torre e Elly Schlein … abbiamo Trama di Terre, che mette insieme donne native e migranti nella mia Imola – e l’UDI a Bologna…. e molte di più ! Vorrei però essere sicura che l’Emilia Romagna (e l’Italia tutta) abbia questo pacchetto essenziale ben funzionante. E che ci sia già in piedi qualcosa di preventivo. Vorrei essere certa che c’é una politica femminista in regione, e che parte da qui.

Abbiamo bisogno di politiche femministe, e non immaginatevi una guerra col reggiseno in mano. Il vero femminismo é semplicemente l’egualianza tra donne e uomini.

CoronaWomen

Credo sia la prima volta negli ultimi dodici anni in cui non metto il muso fuori casa per saltare, ballare, gridare, ascoltare, acclamare diritti per noi donne abbracciando mille magnifiche donne innamoratissima della sisterhood. Sono chiusa in casa con una brutta influenza, o magari sto famoso coronavirus ma non avendo avuto “contatti con zone rosse” non sono un caso probabile. In ogni modo manifestazioni oggi non ce ne sono vista la simil quarantena in cui viviamo. Ora che ci penso … é anche la prima volta in più di dieci anni che non indosso un magnifico wax africano con un messaggio di progresso. Ed é anche forse la prima volta che sono in Italia.

In questo stesso – circa- lasso di tempo la mia cara Italia ha fatto enormi progressi in termini di uguaglianza di genere, progressi molto più rapidi della maggioranza dei paesi europei ed é ora al 14° posto dell’indice secondo l’ European Institute for Gender Equality  However, la mia Italia non arriva alla media europea, salvo per quel che riguarda la salute. Le disuguaglianza sono le più marcate in materia di “potere”, “tempo” e “lavoro”.  Ed é proprio sul gap lavoro che vorrei insistere oggi, perché é quella la battaglia più critica : le donne in éta attiva sono occupate al 20% in meno degli uomini, e questo gap é pronunciato soprattutto nelle coppie con figli, meno se il livello d’istruzione é elevato. In altre parole i numeri mostrano che la mamma che decide – o finisce per o viene lasciata a- stare a casa coi figli sono più numerosi dei babbi. Le professioni sono ancora piuttosto “genderizzate” in Italia, 26 % delle donne lavorano nell’educazione, salute o lavori ad utilità sociale contro il 7% degli uomini; 6 % delle donne e 31 % degli uomini lavorano nella scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – le STEM in inglese.

Ora – ieri nella mia Imola un uomo ha ucciso una donna. La moglie. Questo dramma del femminicidio in Italia é orribile, ed é uno dei mali peggiori del paese. Ma i problemi sulla violenza sono ben più numerosi. E l’epidemia é globale. E la mia grande passione di lotta.

Mi fermo qui, e ascolto di nuovo il discorso del Presidente della Repubblica per l”8 marzo. Semplice, lineare, dedicato alle lavoratrici dell’emergenza coronavirus. Concentriamo i nostri sforzi, ok e grazie a dottoresse, infermiere e OS … L’8 marzo resta l’8 marzo, e gli ostacoli avrei preferito sentirli citati perché un’espressione come quella di “condizione della donna” non abbia quell’odore da secondo sesso di cui sa ora.

Riporto – più o meno la letterina al Sabato Sera che ho fatto di ritorno dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ebbene sì, entrata in grande stile, fist time all’ AG e ho uno “speaker role”. Brava Noe e bravo capo che mi ha dato la vetrina, cosa assai rara agli UN che un non-ancora-diplomatico sia protagonista, ma il mio capo é un buon coach.

Ogni anno l’AG, riunisce capi di stato e di governo per decidere insieme delle priorità collettive e adottare nuove risoluzioni. L’AG è un parlamento mondiale, uno stato un voto e può adottare risoluzioni, le leggi mondiali. Il diritto internazionale non funziona come il diritto pubblico interno a uno stato e la maggioranza degli esperti non considerano le risoluzioni dell’assemblea Generale contragnanti. All’Assemblea Generale quindi si discute, si decide insieme ma poi dipende dalla buona volontà di uno stato di mettere in atto. La politica ha una certa influenza. Un’alternanza e improvvisamente ci si trova con un capo di stato che rifiuta di accettare che il più grande polmone del mondo sia minacciato dal disboscamento e quindi per lui le misure di protezione non servono più. Ogni allusione a chi ha parlato della più grande foresta latino-americana é puramente casuale.

Tra il 17 et il 24 settembre 2019, l’Assemblea Generale ha tenuto il Global Summit sul Clima, Gutierrez é andato ad accogliere Greta, arrivata in barca. Un bellissimo dialogo inter-generazionale, Antonio e Greta alleati e complici come nonno e nipote. Peccato le promesse concrete siano assai lontane.

L’AG si è concentrata su certe tematiche come la copertura sanitaria universale, il disarmo nucleare e un’altra manciata dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile tra cui l’uguaglianza di genere. Ed ecco come ci sono finita all’Assemblea Generale, grazie ai miei sforzi per proteggere circa 5 milioni di donne e bambine da stupri, matrimoni forzati e altre forme di violenza sessista. Nei primi sei mesi di quest’anno i vari partner del GBV sub-cluster hanno potuto assistere più di 19,000 vittime. Da meno di 1% di planning e finanziamenti nel settore di tre anni fa siamo verso il 4% di planning e un 15/20% di finanziamenti annuali. Non é facile monitorare ciò, perché il sistema si basa sui settori e noi del “gender-based violence” siamo un sub-settore… cioé invisibile nella maggioranza dei documenti.

Quest’anno abbiamo nazionalizzato un’iniziativa globale chiamata “Appello all’azione /Call to Action” che ci ha permesso di mettere insieme 143 partner attivi nella lotta contro la violenza di genere in urgenza o nello sviluppo per concentrare gli sforzi collettivi su delle priorità a impatto. Ed eccomi a New York, invitata a spiegare come siamo riusciti a fare questi passi da giganti.

La “discussione di alto livello” si è tenuta martedì scorso tra i Ministri della Sanità Congolese et del Genere Sud-Sudanese, il Commissario Europeo per gli aiuti Umanitari, la Direttrice degli aiuti umanitari norvegese, tre Vice Segretari Generali dell’ONU (UNFPA, il Programma ONU per lo Sviluppo – UNDP e l’ufficio di coordinazione degli aiuti umanitari- UNOCHA), due organizzazioni non governative una di donne Sud-Sudanesi e Care International, e la sottoscritta. Tutto sotto la moderazione Canadese, stato con una politica estera femminista, per identificare cosa è efficace o meno nelle crisi prolungate per arrivare a zero violenze sessiste entro il 2030.

Ogni volta che la mia agenda mi porta in un evento politico e diplomatico di maggiore importanza ritrovo quella Noemi rappresentante degli studenti del Valeriani nella sua Imola: i primi dieci secondi davanti a un’assemblea mi tremano ancora le gambe e la gola si secca. Ormai dovrei esserci abituata e invece no, è sempre una fortissima e bellissima emozione. Continua a non sembrami vero di poter influenzare cambiamenti di sostanza nella vita delle donne del mondo.

Cosa avevo da dire sulla ricetta sui progressi congolesi? Tre semplicissime cose.

Prima di tutto serve un contesto favorevole, anche nella peggiore delle guerre si può fare molto. Servono leggi a protezione delle donne, se non ci sono si inizia il dialogo parlamentare per proporle. Servono politiche di genere e piani d’azione o strategie di riduzione della violenza e/o di genre, se non ci esistono si lancia il dialogo. Servono “campioni” al governo, alla magistratura, nella società civile, tra gli stati donatori che capiscono la causa che la conoscono che la portano. Se questo manca, ripeto bisogna costruirselo e ci vuole tempo.

Secondo, serve un coordinamento sulla violenza di genere, indipendente, solido, tecnico che analizzi dati che sia capace di informare per decidere insieme le priorità. Il coordinamento deve essere appoggiato da una leadership governativa, se no resta uno sforzo della società civile senza impatto sistemico.

Terzo, a Kinshasa il pilotaggio di un’iniziativa globale quale la “Call to Action” è stata l’opportunità di fare partecipare le organizzazioni femministe alla presa di decisioni che le riguardano, dopo decenni in cui altri decidevano per loro. E questa cosa fa un sacco bene al mondo umanitario, ancora maschilista, patriarcale e intelletualmente dominato dall’occidente

La riflessione che ho condiviso a New York sarebbe applicabile anche a un discorso italiano.

Seduta in questa scomodissima classe economica New-York Kinshasa – e qui sfatiamo il mito dei viaggi in business class per i funzionari ONU….. –  contino a chiedermi perché in Italia ci sia una sorta di allergia al concetto vero del femminismo, che non è altro che credere all’uguaglianza tra i sessi.

Ma queste politiche estere femministe scandinave potrebbero funzionare in paesi latini come Italia, Spagna o Francia? E se pensassimo a un femminismo a livello locale? Abbiamo bisogno di politiche locali femministe, a Imola, a Bologna?

 

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Per quanto sia un’auto-celebrazione degli “umanitari” resta una delle miei giornate preferite. Che mi rigenera e motiva a questo leggerissimo lavoro. Empatia.

Quest’anno il tema della celebrazione dei 10 anni della Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario – il World Humanitarian Day é la donna operatrice umanitaria. Ostetriche, assistenti sociali, medici, nutrizioniste, capi progetto, ingegneri, coordinatrici (dei mitici cluster)… NOI.

L’agenda di Marc Lowcok é decisamente femminista, donne e ragazze nelle crisi sono la sua “ossessione”. Dal profondo del cuore lo ringrazio… ma la strada da fare é ancora molto lunga e impervia.

La cerimonia di questa mattina mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, le donne sono le prime vittime, in tutti i discorsi. NO, le catastrofi naturali e le guerre hanno effetti devastanti sulle donne e le ragazze ma non ne fanno vittime. Sono le donne le più resilienti, quelle che meglio se la cavano, e sono sempre in prima linea. Sono molto meno degli uomini semplicemente perché questo mestiere non ha nulla che le incoraggia, tra precarietà e “non-family” duty station dove una gravidanza é una condanna al licenziamento.

Ho conosciuto donne magnifiche – brillanti femministe di colori e nazionalità diverse ognuna motivata da una ragione diversa, ognuna con dedizione e professionalità. Ci sono delle Gloria, Sadia, Elinor, Abiba, Catherine, Sophie, Lina, Julienne, Fabiola che mi ispireranno oggi, domani sempre. Leaders o in prima linea che siano … sono loro che dovrebbero avere la parola sempre. Soprattutto in una giornata dedicata a loro.

Che pretendo?  Ho “festeggiato” il World Humanitarian Day a Kinshasa, a una cerimonia male-dominated…. in più non é una vera giornata umanitaria senza terreno.

Mi tiro su di morale con questa discussione con le donne in un villaggio attorno a Kananga. Io, loro. Le fist responders. Era il 2017, agosto e pochi giorni dopo avevo un cartello #NotATarget con Maguy.

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Perché il 19 agosto é sempre il giorno in cui si ricorda al mondo che gli umanitari non sono un bersaglio. Ogni anno il 19 agosto penso a Elisée e Vittorio che non ci sono più. Penso a Laura che diventa vedova.

Questo 19 agosto  sono ancora più disgustata a leggere della Open Arms e di certe reazioni dei politicanti italiani. Abbiamo perso l’umanità.

Permettetemi di abusare di Vik perché é il 19 agosto. E il messaggio é uno solo #RestiamoUmani . I porti devono stare aperti. Paesi di Santi Poeti e Navigatori siamo.

Domenica scorsa, nel mezzo di una conversazione tra mamme la mia super-amica G* mi dice: “Mio marito ti saluta cara… mi ha appena detto – hai visto che hanno dato il Nobel per la pace a Noemi?” …”

Diciamo che non è proprio così …. sebbene ne legga con grande orgoglio per il mio modesto contributo.

Mukwege

Abbiamo un Nobel … un Nobel !  Un Nobel per i nostri eroi della lotta contro gli stupri nei conflitti armati.

Hanno dato il Nobel a Denis Mukwege e Nadia Murad in onore del loro dedizione alla lotta contro le violenze sessuali nei conflitti armati. L’uno cura donne stuprate in Repubblica Democratica del Congo da praticamente vent’anni, l’altra é il volto delle schiavi sessuali sopravvissute alle brutalità di Daesh.

Ci ho messo un po’ a digerire, ubriaca di eccitazione per questa magnifica notizia.

La testa frulla con profonda ammirazione per i due attivisti dei diritti delle donne. Il cuore é colmo di gioia per un riconoscimento mondiale per un “combat” che per me è più una missione che un lavoro.

Visualizzo video su youtube da una settimana. Leggo omaggi e commenti di vari giornali sull’uomo che ripara le donne e l’attivista Yazidi. Sono tanti e belli, è un bombardamento mediatico che mi piace da morire.

Finalmente.

Finalmente dal ratto delle Sabine il mondo ci dice che chi lotta contro gli stupri di guerra è un eroe per la pace, che ricostruire la vita e la dignità di una vittima di stupro permette alla società di risollevarsi, che c’è un collegamento diretto tra la pace e questa lotta a lungo considerata come un effetto collaterale inevitabile della guerra.

Le più belle risoluzioni dell’ONU e le politiche estere femministe che riconoscono che lo stupro di guerra è una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale a nulla valgono nella coscienza collettiva rispetto ad un Nobel.

Nel 2010 lavorai per la prima volta con lui e il suo staff, ma non lo incrocia mai. Ogni volta che andai all’ospedale Panzi, che Mukwege dirige dal ’99, lui era in sala operatoria. Ricordo la prima volta che lo incontrai di persona … era il 2012 a Londra, al Summit contro le Violenze sessuali nei conflitti armati…. Le amiche mi chiedevano eccitate foto di “Brangelina” ma a me tremavano le gambe quando incrociai il Dr Mukwege.

Sono 10 anni che mi batto per eliminare le violenze sessuali nelle guerre, di cui quasi la metà passati in Congo. E questo è il Nobel più bello che abbia mai visto.

 

Et voici la petite selection été 2018 que je vous propose… bon apetit !

Focaccia

Ingrédients : 470 gr de farine, levure pour boulanger (celle pour les brioches est parfaite), 16 gr de cassonade/sucre, 230 gr d’eau tiède, 115 gr de lait, 115 gr d’huile d’olive vierge extra, 45 gr de gros sel. Olives dénoyautées ou tomates ou romarin en garnison.

Préparation : Mélanger la levure avec l’eau et le sucre, ensuite avec la farine le lait et l’huile, enfin saler. Laisser reposer une heure dans un lieu tiède (par exemple le four – éteint), retravailler la pâte et laisser reposer encore une heure. Mettre de l’huile dans le plan de cuisson du four, ensuite appuyer le papier de cuisson, ensuite étaler la pâte. Faire des petites bosses sur la pâte avec les doigts et y mettre la garnison. Cuire au four préchauffé à 180° sans ventilation pour 35 minutes. Couper en carré et servez (froide est meilleure) !

Pesto rosso

Ingrédients : 200 gr des tomates séchées et deux belles tomates fraiches, 80 gr d’amandes, basilique à son gout (au moins un bouquet), 60 gr de pignons de pin, huile d’olive à volonté (surtout si vous utiliser des tomates séchées pas en conserve – en fait c’est lui que décide, l’huile sert pour rendre la sauce un peu liquide mais pas trop). Cette quantité suffit pour les pâtes pour 6/8 personnes.  Je ne mets pas d’ail ni de pecorino/parmesan dans ce pesto. Je trouve qu’il devient ainsi trop chargé car il est bien fort en gout, je les réserve au pesto à la genovese uniquement… mais sentez-vous libre d’ajouter deux gousse d’ail et pas plus de 60 gr de fromage (50% parmesan et 50% pecorino) !  Ou essayez-vous les deux versions pour décider vous-même ce qui est plus à votre gout.

Préparation : Tout mixer (pour les fainéants) ou tout bien piler (pour le pro). C’est fait. A vous d’ajouter le pesto à des penne rigate, des rigatonis, où des linguine – ou de le tartiner. Svp pas n’importe quelles pâtes ! Savez-vous… en Italie pas toute les sauces vont avec toutes les pates…c’est un art, qu’on apprend avec la pratique. Coquillettes au pesto ça ‘existe pas, tagliatelles non plus. Aussi, n’oublié pas de cuir les pâtes dans beaucoup d’eau bien salé (gros sel), de les retirer une minute avant les minutes indiqués dans la boite Barilla (Panzani n’est pas une marque italienne), les égoutter et les tirer dans la poile avec la sauce et une grosse cuillère d’eau de cuissons des pâtes (que vous avez retiré avant de les égoutter) pour la minute qui reste.  Servez-vous et régalez-vous.

Le pesto rouge se conserve bien au frigo, même 10 jours … mais après 2-3 jours il sera un peu plus acide. Je vous suggère de l’utiliser tout de suite, d’en faire une boite à conserve où d’en congeler un peu.

Semifreddo au mascrapone nutella et café

Ingrédients : 250 gr de mascarpone, 200 ml de crème fraiche (liquide pour être monter en chantilly), une tasse d’expresso, 50 gr de sucre, 50 gr de Nutella, 200 gr de biscuits secs (moi je mélange petit beurre et spéculus), 100 gr de beurre

Ce dessert est très très simple ! Sans cuisson il est prêt en 15 minutes. Préparer d’abord la base de votre gâteau en écrasant les biscuits avec le beurre (sortez-le du frigo 1 heure avant ainsi il sera plus souple) dans un mixer. Quand ils forment une pate homogène mettez du papier cuisson dans votre moule pour gâteau et étalez bien au fond en formant une épaisseur de 0,5 cm au max. Préparer ensuite la chantilly en montant la crème fraiche et le sucre. Ajouter à la chantilly, le mascarpone et la petite tasse de café sucré, mélanger le tout et l’ajouter au moule. Chauffer le Nutella au microonde et à l’aide d’une petite cuiller décorer le dessert. Mélanger le tout et mettre au congélateur pour au moins deux heures. C’est fait ! Sortir le gâteau 30 minutes avant de le servir.

C’est absolument cliché mais la maman italienne c’est une maman qui cuisine très bien et beaucoup. Elle doit gâter son mari, ses enfants, ses invités … c’est tout simplement naturel. Et il ne faut surtout pas prendre le risque de leur laisser une petite faim après une heure du repas ! Melius est abundare quam deficere, au pire on mangera des restes le lendemain.

J’avoue que je suis à fond dans ce cliché, bien que pour le bon on essaye toujours et parfois c’est raté. Notre vie de famille « globe-trotter » et plongé dans le monde humanitaire permet d’expérimenter … l’avantage est que le palais est italien et il est connus que la cuisine italienne plait à plusieurs peuples. Le jugement des gourmands compatriotes et français me fait comprendre si un plat est à refaire ou pas. Eux, ils savent toujours si c’est vraiment bon ou pas. En dépit du peu d’amour que les italiens sentent pour la France, ces deux peuples se ressemblent énormément, notamment à table.

La maman française et celle italienne se ressemblent plus de ce que les gens puissent imaginer. Quand elles deviennent grands-mères c’est la cata pour la ligne de leurs filles et belles filles. Et voici une nouvelle fonction à mon blog… la table d’une maman humanitaire ! Bien évidemment une table avec des racines… en Romagna, en Italie.

Je commencerais par trois petites recettes très Italiennes et vites faites…. parfaite pour profiter de la plage sans trop tarder en cuisine. “Please teach my wife to do this!”, “Tu me donneras la recette n’est pas?” . Elles n’ont pas mal attiré l’entourage pendant cette magnifique été charentaise qui finit aujourd’hui (pleurer!). Au prochain post !

C’est absolument cliché mais la maman italienne c’est une maman qui cuisine très bien et beaucoup. Elle doit gâter son mari, ses enfants, ses invités … c’est tout simplement naturel. Et il ne faut surtout pas prendre le risque de leur laisser une petite faim après une heure du repas ! Melius est abundare quam deficere, au pire on mangera des restes le lendemain.

J’avoue que je suis à fond dans ce cliché, bien que pour le bon on essaye toujours et parfois c’est raté. Notre vie de famille « globe-trotter » et plongé dans le monde humanitaire permet d’expérimenter … l’avantage est que le palais est italien et il est connus que la cuisine italienne plait à plusieurs peuples. Le jugement des gourmands compatriotes et français me fait comprendre si un plat est à refaire ou pas. Eux, ils savent toujours si c’est vraiment bon ou pas. En dépit du peu d’amour que les italiens sentent pour la France, ces deux peuples se ressemblent énormément, notamment à table.

La maman française et celle italienne se ressemblent plus de ce que les gens puissent imaginer. Quand elles deviennent grands-mères c’est la cata pour la ligne de leurs filles et belles filles. Et voici une nouvelle fonction à mon blog… la table d’une maman humanitaire ! Bien évidemment une table avec des racines… en Romagna, en Italie.

Je commencerais par trois petites recettes très Italiennes et vites faites…. parfaite pour profiter de la plage sans trop tarder en cuisine. “Please teach my wife to do this!”, “Tu me donneras la recette n’est pas?” . Elles n’ont pas mal attiré l’entourage pendant cette magnifique été charentaise qui finit aujourd’hui (pleurer!). Au prochain post !